Google: una multa storica

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Invece è successo. Economista dell’università di Berkeley passato a lavorare per Mountain View, a quel punto Varian sapeva che non poteva parlare di quella questione – troppo sensibile – ma non poteva neppure fingere che non esistesse. Per questo ha scelto una difesa indiretta, ma intensa, dall’accusa che Google e gli altri colossi tecnologici californiani abusino della loro forza per tagliare fuori gli sfidanti che partono dal basso: «Ci siamo sempre chiesti se l’innovazione venisse dai nuovi entranti o dalle aziende in posizione dominante. La mia risposta è: da entrambe», ha esordito Hal Varian. «Google, Apple, Amazon, Facebook o Microsoft non sono giganti addormentati. Sono grandi, ma competono accanitamente su molti fronti: software, cloud computing, pubblicità».

Il capoeconomista di Google respinge così l’accusa principale al suo gruppo, quella di rappresentare con le sue stesse dimensioni un ostacolo allo sviluppo tecnologico e di mercato di chiunque altro. «La concorrenza sta dando i suoi frutti – dice -. I prezzi dei servizi sono scesi e spesso sono persino pari a zero. Molte start up, grazie a noi, possono eliminare i costi fissi dell’ingresso in un nuovo mercato: con i nostri strumenti di cloud computing ad accesso aperto, decine di migliaia di imprese ogni giorno possono entrare in attività senza dover costituire le loro infrastrutture da zero».

Varian in pubblico non cita neanche una volta le accuse mosse a Google da Margrethe Vestager; il commissario Ue alla Concorrenza accusa il gruppo di Mountain View di penalizzare illegalmente i concorrenti per favorire i propri servizi nei meccanismi del motore di ricerca. Ma il messaggio del capoeconomista di Google è univoco: la sua azienda rende più facile l’accesso degli altri al mercato, non il contrario. «Lo facciamo per altruismo e perché beneficiamo a nostra volta di uno spazio più vasto», dice. Varian sottolinea come aziende sostenute dai servizi di Google siano partite da zero per diventare, esse stesse, giganti: «Spotify, Airbnb o Snapchat non hanno una propria infrastruttura – dice -. Usano la nostra perché possono godere di un’offerta estremamente competitiva e non solo nel cloud computing», cioè nei magazzini esterni dei dati e del traffico digitale.

Il messaggio portato al Forum della Bce dal capoeconomista di Google equivale più o meno all’opposto della lezione emersa in un secolo di vigilanza sugli abusi di mercato: i grandi monopolisti bisogna lasciarli lavorare indisturbati, fa capire Varian, perché sono il pesce pilota del sistema. A maggiore ragione nel mercato digitale privo di barriere di oggi, aperto più che mai all’ingresso dei nuovi sfidanti che vogliono iniziare ad operare a basso costo. Per rafforzare la sua teoria, Varian scomoda persino uno dei padri della scienza economica: «Adam Smith disse che la divisione del lavoro è limitata solo dalle dimensioni del mercato. Oggi si può dire che anche la divisione dei servizi alle imprese è limitata solo dalle dimensioni del mercato. Esso è globale, e oggi questi servizi possono essere forniti molto facilmente da noi».

L’unica frecciata l’economista la riserva a un altro colosso digitale: Apple. Varian ricorda che uno smartphone oggi rimpiazza orologi, navigatori, macchine fotografiche, telecamere, registratori, torce, apparecchi musicali, giornali, libri, sveglie, radio e un lungo elenco di altri beni di consumo. Le vendite di produttori indipendenti di quegli oggetti soffrono. Se dunque Google nella narrazione di Varian sembra un buon samaritano, l’implicazione è che Apple è tutta un’altra storia: «Si può concludere che l’introduzione dello smartphone abbia ridotto il prodotto interno lordo del mondo».

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