“Il documento è stato contrassegnato come inappropriato e non può più essere condiviso”. È il messaggio che Google Docs, nei giorni scorsi, ha mostrato a centinaia di utenti. Giornalisti, marketing manager, consulenti, semplici utilizzatori privati del servizio che si sono visti bloccare da un momento all’altro i documenti su cui stavano lavorando. La colpa è di un errore di programmazione commesso durante una revisione del sistema di controllo dei contenuti di Google Docs . Il bug è stato risolto rapidamente, ma ha dimostrato – se ancora ce ne fosse bisogno – quanto poco controllo esercitiamo sui contenuti che ogni giorno affidiamo ai servizi cloud.
La gestione poco trasparente del problema da parte di Google ha contribuito ad alimentare critiche e richieste di spiegazioni. L’unico messaggio ufficiale sul problema è quello di una community manager dei forum di Google Docs. “Proteggere gli utenti dai virus, dai malware e da altri contenuti malevoli è centrale per la sicurezza degli utenti”, ha scritto, spiegando che i meccanismi automatici di controllo esistono a protezione di chi usa il servizio. “Abbiamo messo in pratica ulteriori processi al fine di evitare che situazioni di questo tipo possano avvenire di nuovo”.
Su Twitter il Biologo Computazionale Leighton Pritchard, che da tanto tempo usa Google Docs per lavorare sulle sue ricerche in condivisione con i suoi colleghi, si chiede come sia “possibile stabilire la credibilità” della spiegazione di Google senza che si sappia nulla di quale sia stato il problema in primo luogo. Da un servizio che si vorrebbe imporre come il migliore per la condivisione professionale dei documenti ci si aspetterebbe insomma qualche spiegazione in più.
Gli fa eco Dana Gardner, analista esperto di soluzioni cloud, con un commento rilasciato al New York Times: “il caso dimostra che Google usa il machine learning avanzato e altre soluzioni basate sull’intelligenza artificiale per esaminare grandi quantità di dati in tempo reale. È chiaro che l’azienda voglia imporre le proprie condizioni sui contenuti che si possono condividere e che debba automatizzare il processo per renderlo scalabile. È evidente inoltre che ci possono essere degli errori sui contenuti da contrassegnare, con gravi conseguenze”.
La scansione dei contenuti dei Docs non è un pratica dichiarata esplicitamente da Google, ma nella privacy policy che gli utenti accettano quando accedono al servizio si legge che l’azienda raccoglie informazioni “dai messaggi Gmail, dai profili di Google Plus, dalle foto, dai video, dalla cronologia di navigazione, dalle ricerche in Maps, dai documenti, o da altri contenuti” ospitati sui server Google.
Nessuno si sorprenda, insomma, se Big G è perfettamente in grado di leggere e analizzare quello che scriviamo nei nostri documenti online. Lo fa, dice, per offrire un servizio utile, libero da qualsiasi minaccia informatica. Un servizio all’apparenza gratuito ma che paghiamo – senza accorgercene – con un prezzo altissimo: la rinuncia totale alla nostra privacy e la cessione di un mare di informazioni che Google utilizza principalmente a scopo pubblicitario.
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