ROMA – Il governo di Pechino – potenzialmente – tra pochi giorni potrebbe leggere messaggi, email, foto, dati personali degli utenti cinesi custoditi in iCloud, la “nuvola” di Apple. Il tutto senza chiedere senza chiedere l’autorizzazione al colosso informatico americano. L’azienda di Cupertino, infatti, ha dovuto piegarsi alle necessità di mercato e il prossimo 28 febbraio adeguarsi alle leggi del paese. Una mossa che desta dubbi sulla privacy e sulla libertà di espressione da parte di attivisti e associazioni che si occupano di diritti umani.
Apple ha inviato notifiche agli utenti cinesi qualche giorno fa per avvisarli di questo cambiamento, spiegando che deve rispettare le leggi locali: norme che impongono che i servizi cloud offerti ai cittadini siano gestiti da società cinesi e che i dati vengano archiviati nella Repubblica popolare. “Abbiamo sostenuto che il servizio iCloud non dovesse essere soggetto a queste leggi, ma alla fine non ci siamo riusciti”, ammette l’azienda californiana, sottolineando che i valori in cui crede non cambiano nelle diverse parti del mondo ma è obbligata a rispettare le disposizioni legislative di ciascun paese. Nello specifico, i dati saranno trasferiti dai server americani sui server della società Cloud Big Data Industry, creata e finanziata a Guizhou nel 2014, che ha stretti legami con il governo e il Partito comunista cinese.
Alcuni esperti di privacy temono che lo spostamento renderà i dati degli utenti cinesi più vulnerabili a un governo che ha record di censura, repressione politica e restrizioni su Internet. Jing Zhao, attivista per i diritti umani e azionista di Apple, prevede problemi maggiori di quelli che si verificarono un decennio fa quando Yahoo! cedette i dati di alcuni utenti cinesi al governo, portando ad arresti e condanne a morte. “Lo standard degli Stati Uniti tutela di più la privacy”, dice Camille Fischer della Electronic Frontier Foundation, organizzazione statunitense che si occupa di diritti digitali. In vista della decisione, due settimane fa l’osservatorio internazionale sulla libertà di stampa Reporters sans frontièrs ha invitato blogger e giornalisti che si trovano in Cina a non usare iCloud, per timore di essere individuati dal governo.
Apple dal canto suo fa sapere che in questo modo non fornisce al governo cinese accesso all’iCloud degli utenti. E ancora: non ha creato ha avuto richieste da Pechino di creare alcuna backdoor e che Cupertino continuerà a mantenere il controllo sulle chiavi crittografiche dei dati iCloud. Non solo. Come avviene nelle altre nazioni, Apple dice che risponderà a richieste giudiziarie (legali) per dati che sono in suo possesso per i singoli individui (mai quindi gruppi di dati) e quando fornirà i dati continuerà a segnalare le richieste che riceviamo nel suo report pubblico semestrale.
La mossa della Mela mette in luce una realtà assai difficile per molte aziende tecnologiche statunitensi che operano in Cina. Ma Cupertino non può abbandonare un mercato diventato strategico per l’incremento delle vendite degli iPhone. Stando agli analisti di Counterpoint Research, l’anno scorso l’iPhone 7 Plus è stato il secondo smartphone più acquistato in Cina, con il 2,8%
delle vendite totali. E il prossimo marzo il Ceo di Apple Tim Cook sarà co-presidente del China Development Forum, il meeting annuale progettato per promuovere il dialogo tra il governo cinese e i leader delle più importanti aziende di tutto il mondo.
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